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논문 기본 정보

자료유형
학술저널
저자정보
저널정보
한국이탈리아어문학회 이탈리아어문학 이탈리아어문학 제27호
발행연도
2009.1
수록면
65 - 96 (32page)

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Per trattare la problematica concernente un significato intimamente legato a Trieste –quello di «frontiera», assieme alla «cultura e letteratura di frontiera»– si dovrebbe fare un’incursione nella storia. In un’altra relazione, analizzando il particolare inserimento della città adriatica nella dinamica fluttuante del rapporto fra centro e provincia nello spazio mitteleuropeo, abbiamo accennato al fatto che, alla fine della prima guerra mondiale, Trieste diventa un centro periferico, situato all’estremo confine orientale d’Italia, in altre parole, una vera e propria «città di frontiera». Vera "città invisibil" nela topografia del Novecento, Trieste ebbe in sorte, negli anni che precedettero la Grande Guerra e la sua (per certi aspetti esizale) annessione all'Italia, un manipolo invidiabile di cantori. Il mito storiografico di una " letteratura triestina" sembrano dovuti, fatte salve le necessarie e risapute considerazioni cronlogiche e ambientali, a una straordinaria intuizione collettva. Più sospettiamo in loro la lucida consapevoleza dell'enorme potenzialità spirituale che scaturisce dalle condizioni materiali: dal determinato assetto di un paesaggio umano, razzi, momenti, e mile compresi. È stato forse proprio Scipio Slataper a spiegare meglio di chiunque altro questa originalissima configurazione dell'intelligenza e della fantasia in quelle Lettere triestine che gli meritarono in patria la fama di traditore e degenerato, come si disse. Ne Il mio Carso, il capolavoro di Slataper, la nazione pare configurarsi come la comunità cui si appartiene per comunanza di lingua e cultura. Non ha base etnica, al contrario: l’acquisizione della nazionalità così intesa è un processo che può avvenire in forme, in un certo senso, al limite della consapevolezza; e ciò a ben vedere richiama, a un livello solo un po’ più acutizzato, le riflessioni di Chabod sul fondo volontaristico dell’idea generale di nazione italiana. Proprio in simili modi, del resto, va interpretato il "farsi italiani" di slavi, tedeschi, greci e quant’altro a Trieste tra Settecento e Ottocento. È l’assimilazione di un ambiente cosmopolita a una parlata e a una cultura, nella fattispecie la parlata veneta dei commerci e la cultura – soprattutto letteraria – italiana, avvertita quale patrimonio spirituale fra i più preziosi d’Europa. Ed è anche, ovviamente, integrazione di sé in un’identità plurale, la quale diviene parte costitutiva dell’identità individuale.

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